La storia delle luminarie

La storia delle luminarie “parazioni” nasce da molto lontano. Nasce dalla convivenza di sacro e profano, di Cristianesimo e paganesimo. Tutto ciò lo possiamo ritrovare nelle feste patronali: ogni paese ha il proprio Santo protettore che viene celebrato e venerato da tutta la cittadinanza.

Pur conservando alcune peculiarità, ogni paese ha una caratteristica che accomuna questi riti: le luminarie. Il termine deriva dal latino “lumen”, che significa letteralmente “oggetto che diffonde luce”, ma in una accezione più ampia serve ad indicare la festa dei lumi. Pali di legno, fili di ferro, scale, lampade servono a costruire, a “montare la festa”. I “paratori” ripetono incessantemente gli stessi movimenti, faticano, avvalendosi dell’occhio per misurare, trasformando gli spazi.

Ma come nasce un addobbo? Si parte con l’’abbozzare il disegno su un foglio di carta comune per poi subito dopo provare ad ingrandirlo. Spesso il pavimento o l’’asfalto stradale sostituiscono il foglio in questa operazione. Infatti, come nel passato, i disegnatori provano l’’effetto del disegno iniziale appunto in spiazzi d’’asfalto e, guardando dall’alto, riescono a vedere l’’effetto prospettico, a modificare i difetti, così da rendere l’idea del bozzetto iniziale più perfetta. Per risparmiare tempo e denaro questi artisti, non realizzano modellini come gli scenografi, ma devono avere un grande senso della prospettiva ed una spiccata capacità di vedere il lavoro finito, con tutte le combinazioni che si possono eseguire, solo dal disegno. Durante queste numerose prove vengono utilizzati gessetti colorati che serviranno in seguito da guida a chi è addetto a disporre le lampadine multicolori per ottenere diversi effetti luminosi.

Dal bozzetto finale si passa alla costruzione in scala con riproduzione in legno; solitamente si preferisce l’’abete perché si presta a lavori di questo tipo date le sue caratteristiche di robustezza, di relativa leggerezza e di facilità di taglio ed intaglio, qualità indispensabile per poter realizzare un lavoro simile ad un enorme ricamo che deve comunque conservare una sua compattezza e solidità. C’è da precisare che l’intero disegno viene diviso in vari pezzi (elementi e telai) che si possono montare facilmente e che, tenendo conto delle dimensioni della piazza si possono togliere o aggiungere modificando il disegno con più combinazioni. L’abilità e soprattutto l’’esperienza portano a saper progettare mentalmente come verrà disposta l’’intera galleria. Dopo aver costruito questi grandi telai di legno talmente ricchi di volute, ghirigori, cerchi, archetti, ringhiere, pendagli, pennacchi e roselline, si passa ad ulteriore prova mettendo insieme tutti gli elementi rappresentano il disegno iniziale sul pavimento per vedere l’’effetto e se tutto è ben posizionato e proporzionato.

Agli inizi del ‘900 In quel tempo le luminarie erano a carburio o ad olio in quanto non si usava ancora l’’energia elettrica: bastava un colpo di vento ed i bicchieri issati sull’apparato sgocciolavano sulla gente che passava imbrattandone i vestiti. In quei tempi il trasporto del materiale avveniva con i traini che venivano tirati dai cavalli, e la sera non si tornava mai a casa se la festa non terminava, e i luoghi in cui si dormiva erano le chiese, i castelli o addirittura sotto la cassa armonica.

Da allora sono trascorsi molti anni; i moderni sistemi elettrici, insieme a quelli di sicurezza, hanno conquistato oggi anche questo settore rimasto, nonostante tutto, autenticamente artigianale. Una terza fase di lavorazione è quella della pitturazione dei diversi telai con vernice di colore bianco, perché il bianco riflette la luce. Le lampadine vengono colorate dagli artigiani stessi che le infilano dalla parte della ghiera su un telaio bucherellato coperto da faesite e, utilizzando un compressore, le spruzzano con vernice idonee; a questo punto le infornano in forni a legna che raggiungono la temperatura di 50-60 gradi facendole essiccare: con questa procedura le lampadine acquistano trasparenza e lucentezza emanando quindi una luce brillante. Successivamente queste lampadine, dette mignon e micromignon, il cui potenziale elettrico varia da 5 a 25 Volt, vengono inserite negli appositi portalampade già fissate su telai di legno e vengono poi disposte nel circuito elettrico mediante collegamenti “in serie” ed “in parallelo”: per ogni serie di lampadine grosse vengono usate 8 lampade da 15 Volt e 25 Watt, per ogni serie di quelle piccole vengono usate 14 lampadine da 15 e 5 Volt. Naturalmente oltre alla fantasia è necessaria una buona dose di pazienza e maestria perché il gioco delle lampadine multicolori va eseguito con precisione, perizia e tecnica non solo per ottenere l’’effetto desiderato, ma anche per evitare fastidiosi inconvenienti con l’’energia elettrica, come la rottura dei filamenti o dell’’ampolla di vetro.

Nasce così “ l’Arco Reale”, “ il Moulin Rouge”, il “Duomo di Milano”, “l’Arco Gotico”, “il Rosone”, “la Giarrettiera”, “la Conchiglia”, “il Pavone” e così via. C’è da sottolineare che tutte queste denominazioni sono inventate o coniate dagli stessi artigiani ed entrano a far parte del linguaggio comune. Si tratta di un campionario di proposte che, scelte singolarmente dal Comitato organizzatore, illuminerà l’’ingresso alla festa o ai viali prospicienti la chiesa dove si custodisce la statua del Santo al quale, teoricamente, sono dedicati simili tributi. Dalle prime strutture, che restano tutt’ora come le “gallerie” e la “cassarmonica”, si sono venute a creare nuove strutture che hanno preso la denominazione di “spalliera”, “frontone”, “rosone” e altri pezzi che possono essere utilizzati per riempire spazi vuoti, come le “campane, le “stelle”, il “candelabro”.

La Galleria (un insieme di archi) riproduce le navate delle chiese, con aggiunta di tendaggi. Il Frontone riproduce facciate di chiese e castelli. La Cassarmonica riproduce l’interno di un teatro, dove si possono esibire i concerti bandistici. Il pezzo a solo riproduce pezzi esclusivamente di fantasia. La Spalliera è una delle ultime innovazioni introdotte nel mondo delle luminarie e serve a coprire il perimetro di grande piazze creando una costruzione illusoria all’aria aperta.

Le luminarie sono alimentate con l’elettricità fornita dalla rete elettrica a 230 volt e per collegare molte lampadine vengono utilizzati due approcci alternativi: il collegamento in serie ed in parallelo. Nel collegamento in serie le lampadine vengono collegate una di seguito all’altra a formare un circuito ad anello. In accordo con la seconda legge di Kirchhoff si ha che ciascuna lampadina è sottoposta ad una tensione pari alla tensione di rete diviso il numero di lampadine che costituiscono la catena. Nel collegamento in parallelo ciascuna lampadina è collegata direttamente alla tensione di rete, pertanto due fili di alimentazione devono percorrere l’intera lunghezza della luminaria. I vantaggi di questo approccio risiedono nella flessibilità, ovvero il numero di lampade può essere aumentato a piacere (mantenendo però l’assorbimento di corrente elettrica entro i limiti sopportabili dai cavi) e nel fatto che in caso di guasto di una lampada le altre rimangono accese. Per questi motivi le luminarie in parallelo sono usate nelle luminarie installate nelle strade e monumenti, dove limitare l’accesso per la manutenzione è importante. Più circuiti in serie o parallelo possono essere collegati in varie combinazioni per realizzare effetti luminosi complessi. Le catene luminose possono essere controllate da dispositivi di intermittenza oppure da circuiti elettronici in grado di produrre effetti più complessi del semplice lampeggiamento, quali dissolvenze incrociate, effetti di movimento ecc.

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